Pizza, dolci, patatine: quando il cibo è una dipendenza e i farmaci contro l’obesità una strategia inefficace.

La dipendenza dal cibo è un fenomeno emergente nell’ambito della ricerca sulla salute mentale e sui disturbi alimentari, e si ritiene possa rappresentare un fenotipo comportamentale unico, distinguendosi da altri disturbi alimentari. La relazione tra età e insorgenza della dipendenza dal cibo segnala anche l’importanza di considerare come le diverse fasi della vita influenzino il comportamento (e quindi quale possa essere il ruolo della famiglia), che è in ogni caso legato anche a fenomeni geografici e socio-culturali.

L’applicazione di strumenti psicometrici specifici (es.: la Yale Food Addiction Scale) ha rivelato che una significativa porzione della popolazione potrebbe soffrire di dipendenza da cibo e, come facilmente intuibile, gli individui con punteggi più alti sulla scala tendono ad avere un indice di massa corporea (BMI) più elevato, una maggiore frequenza di disturbi alimentari e maggiore incidenza di problemi emotivi come ansia e depressione. La dipendenza dal cibo potrebbe quindi contribuire allo sviluppo e al mantenimento dell’obesità, che diviene un fattore su cui intervenire contemporaneamente su più fronti se si intende porre in essere una strategia risolutiva, e non finalizzata a moderati ed effimeri cali di peso.

Cibi altamente trasformati, ricchi di zuccheri e grassi, sono i più associati a comportamenti di dipendenza, in qualche modo questi alimenti possiedono un maggiore potenziale che può essere paragonato a quello delle sostanze stupefacenti.

La dipendenza dal cibo può essere tuttavia sia una causa che un effetto di queste condizioni, e non occorre quindi individuare nella dipendenza una sorta di alibi per reiterare un comportamento disfunzionale.

Una recente metanalisi[1] evidenzia una prevalenza crescente della dipendenza da cibo spostandosi dalla condizione di obesità (sono dipendenti dal cibo una percentuale compresa tra il 20% e il 50% dei casi), verso i disturbi del comportamento alimentare sottosoglia (60%), passando da anoressia (70%), BED (80%) e bulimia nervosa (95%).

La relazione tra alimentazione e cervello ha radici profonde nell’evoluzione umana, originariamente il cervello era programmato per guidare comportamenti mirati alla ricerca di cibo. Oggi l’abbondanza di alimenti ultra-elaborati ha creato una discrepanza tra questo programma evolutivo e l’ambiente alimentare. Cibi ricchi di zuccheri e grassi, stimolano intensamente le regioni cerebrali legate alla ricompensa e motivazione, e per questo il cibo diviene spesso un elemento per gestire ansia, stress, frustrazione.

Secondo i dati della ricerca[2], gli alimenti ultra-elaborati, come patatine, biscotti, pizza e dolci, sfruttano il desiderio innato per pasti calorici e gustosi, portando a comportamenti compulsivi simili a quelli osservati nelle dipendenze da sostanze che, sebbene non riguardi tutti i soggetti obesi e in sovrappeso, ne caratterizza un’ampia percentuale e, il consumo di alimenti ultra-elaborati, è più comunemente collegato a comportamenti alimentari di dipendenza rispetto al consumo di frutta, verdura o carni magre.

In particolare sono il contenuto di grassi e il carico glicemico a influenzare maggiormente i comportamenti di dipendenza, analogamente la lavorazione del cibo si è rivelata un forte predittore per comportamenti disfunzionali e BMI maggiore.

Non tutti gli alimenti sono quindi ugualmente implicati in comportamenti alimentari di tipo disfunzionale, ma quelli ultra-elaborati condividono alcune caratteristiche con le droghe di abuso (es.: rapido tasso di assorbimento), e sono quindi maggiormente associati alla “dipendenza alimentare”[3].

Questi aspetti non sono di importanza marginale, poiché si tratta di dirimere la questione tra un disturbo comportamentale e una vera e propria dipendenza da sostanze, anche in considerazione del fatto che gli alimenti ultra-elaborati sembrano evocare cambiamenti chimici nel cervello a un livello che gli alimenti non processati non raggiungono.

Questo spiega in parte come, il trattamento farmacologico, come del resto gli interventi gastrici, determinano nel medio/lungo periodo un ritorno alle condizioni di partenza, con il riacquisto del peso perso, non avendo di fatto determinato una risoluzione a monte del problema.


[1] Praxedes DRS, Silva-Júnior AE, Macena ML, Oliveira AD, Cardoso KS, Nunes LO, Monteiro MB, Melo ISV, Gearhardt AN, Bueno NB. Prevalence of food addiction determined by the Yale Food Addiction Scale and associated factors: A systematic review with meta-analysis. Eur Eat Disord Rev. 2022 Mar;30(2):85-95. doi: 10.1002/erv.2878. Epub 2021 Dec 24. PMID: 34953001.

[2] Ashley N. Gearhardt1 and Erica M. Schulte2, Is Food Addictive? A Review of the Science, Annual Review of Nutrition Vol. 41:387-410

[3] Schulte EM, Avena NM, Gearhardt AN. Which foods may be addictive? The roles of processing, fat content, and glycemic load. PLoS One. 2015 Feb 18;10(2):e0117959. doi: 10.1371/journal.pone.0117959. PMID: 25692302; PMCID: PMC4334652.

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